giovedì 13 giugno 2013

Il caffè fa male

Il titolo del post non c'entra nulla ma... Ora capirete.

Ieri è stata una di quelle giornate eterne, in cui i minuti diventano ore, i casini si moltiplicano e vince, inesorabilmente, l'entropia, dentro e fuori.

Verso metà pomeriggio, non potendone veramente più di mail che piovevano come a Novembre, telefonate continue da scaricare la batteria ogni ora e teste cotonate che si infilavano nel mio ufficio con motivazioni non ben definite, mi sono presa una pausa. E mi sono fatta un caffè.

Per berlo in santissimissima pace mi sono rifugiata sulla terrazza del nostro studio, che affaccia su un cortile interno su cui si danno, tra gli altri,alcuni appartamenti.
Mi sono seduta sul muretto della vetrata, ho chiuso gli occhi assaporando finalmente il sole caldo e il profumo del caffè, che pur essendo da macchinetta in caso di crisi è perfetto.
E l'ho sentito.

Prima indistinto, lontano, solo l'ombra di se stesso, ma poi sempre più chiaro e forte: il vagito disperato di un neonato. Omiodio. Eppure non mi pare di aver visto fiocchi e nastri sul portone dello stabile...o magari al mattino sono talmente accartocciata da non averli notati. Fatto sta che il bambino c'è, eccome! E piange. Piange come solo i neonati sanno fare. In quel modo insistente, con tonalità variabili ma sempre acute, iniziando con una U per finire con una E aperta sulle orecchie della povera madre. E me la sono vista quella mamma, andare avanti e indietro cercando di capire cosa cavolo passa per la testa di quel fagotto che tiene in braccio, stanca dal parto recente e dalle notti insonni, con i capelli spettinati, le occhiaie, in pigiama, che cerca di cullare il pargolo, cambiandogli posizione ogni secondo,cercando di ricordare, tra i fumi della stanchezza, quello che ha imparato al corso preparto.

Provo a capire da dove proviene il panto e individuo una finestrella dalla parte opposta del cortile, sembra una mansarda. La vedo aprirsi e di sfuggita noto un volto passare con appollaiato sulla spalla il fagotto di cui sopra, che nel frattempo non smette di piangere. E distinguo chiaramente la voce della madre che parla, pare, al telefono con qualcuno, che alza la voce per sovrastare il rumore che le impedisce di sentire i consigli di salvataggio del suo interlocutore (con chi parli? tua madre? o la tua amica che ha già tre figli?).

Sono rimasta in ascolto più di 5 minuti, 5 minuti in cui il bambino non ha smesso un secondo di urlare.
Mi è venuta la pelle d'oca ripensando a Sara che piangeva sempre così.
E avrei voluto scendere, attaversare il cortile e salire da lei, abbracciarla e sussurrarle che sarebbe passato tutto molto presto e che tra qualche mese non si sarebbe più ricordata di questi momenti. Avrei mentito insomma.
Io ricordo ogni singolo giorno di quei terrificanti 12 mesi, e ogni singola notte, 365 notti quasi del tutto in bianco. E sono passati otto anni ormai... Solo a scriverlo uno rischa la pazzia.

Come si fa a dimenticare e ricominicare da capo?

Comunque...il caffè ora lo bevo alla scrivania...

4 commenti:

  1. Risposte
    1. :D MI chiedevi perchè sono restia al secondo....ecco la risposta. 12 mesi di notti in bianco e sei anni di notti in cui sono stata svegliata, mediamente, ogni 2/3 ore. Ancora oggi quando sento un bambino piangere mi parte la tachicardia...

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  2. Vedi che ho ragione a nn volere figli?

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  3. Sil, è una cosa talmente perosnale che non me lasento di dire chi ha ragione e chi no. Avere un figlio è dura, durissima, ma da anche molta gioia, ce lo siamo sempre dette. Ma essere madre è una cosa che riguarda solo ed esclusivamente noi stesse, e nessuno deve permettersi di condannare chi fa scelte diverse. Forse se Sara non fosse arrivata non avrei avuto figli, ma oggi la guardo e penso che la mia vita sarebbe davvero vuota senza di lei. ma nonostante questo l'idea di ricominciare da capo mi terrorizza. Egoismo? Si, forse si, ma non c'è nulla di male ad ammetterlo, è solo essere onesti con se stessi, consapevoli che un domani ci si potrebbe anche pentire.

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